3 Febbraio 2019

3. Il giorno dopo

di Sandro

Quando sei giovane e hai appena iniziato la professione pensi che le malattie o le disgrazie possano colpire solo gli altri o quelli con età anagrafiche avanzate, ma quando ti accorgi che anche tu, con il passare del tempo, potresti essere al posto di quel malato, con una identica malattia, allora guardi il dolore e la sofferenza altrui con maggiore rispetto e con rinnovata umanità. Il tutto inoltre, diventa devastante quando in rianimazione assisti allo spegnersi di una persona, di un paziente con il quale magari avevi parlato fino a poche ore prima. Diviene coinvolgente, quando si deve affrontare i parenti, quando si deve comunicare loro, che il caro non c’è più. Come si fa a dire ad una mamma che il suo adorato bambino si è addormentato per sempre? Eppure Mario questa compito deve eseguirlo, fa parte del suo lavoro, dei suoi doveri. Ma dove era scritto, che fare il medico significava costantemente confrontarsi con la morte? Quale esame di medicina preparava ad affrontare la sofferenza altrui? Con quale corso uno diventava ambasciatore di notizie nefaste? Chi insegnava a moderare la voce, a pesare le parole, a non cedere all’emozione, a non sospettare per un istante che tutto quello che era stato eseguito, era stato fatto in modo corretto sia scientificamente, sia moralmente? A questo non ti istruiva nessuno. Lo si impara inevitabilmente a proprie spese, provando ad essere lucidamente distaccati. Valutare criticamente la situazione e allo stesso tempo essere umanamente partecipi per lenire il dolore dei parenti, non è semplice. Ebbene, questo è spesso lo sporco lavoro che deve eseguire un anestesista. A lui, non solo viene richiesto di portare i pazienti nel mondo di Morfeo, ma anche di supportarli quando gli interventi chirurgici presentano delle criticità. Le si affrontano, queste, in rianimazione, dove si ingaggia una specie di tiro alla fune tra la malattia e la metodologia medica, naturalmente senza esclusione di colpi da ambo i lati. Un medico può strapparti alla morte, ma un suo insuccesso può non conoscere appelli, il tutto si può tramutare in forte disagio quando si computa, tra le probabilità di insuccesso, l’errore umano. L’ incubo assume forma quando si prende coscienza di essere degli individui e come tali si può fallire, difatti affrontare un’emergenza stanchi e per tale motivo parzialmente lucidi, non è semplice. Svolgere il lavoro di anestesista riserva a volte anche momenti di avvilimento. Dal medico si pretende sempre un miracolo e ci si scorda che lui è solo un uomo, inoltre in medicina non tutto è sempre bianco o nero, ma esistono una vasta scala di grigi. Si scorda che questo uomo può avere una famiglia, può essere padre, marito, figlio, e vivere anche lui disagi personali che vanno a sommarsi al logorio del proprio lavoro. Una stanchezza da definirsi non fisica, ma mentale. Quella che si va ad accumulare con il passare del tempo, dopo aver assistito alla sofferenza di molti pazienti, al pianto e alla rassegnazione dei parenti, dopo aver tentato di dare tante giustificazioni alle malattie, alle sepsi, alle embolie e alle disgrazie in genere. Tante volte ci si domanda, logora più il lavoro fisico o mentale?

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2. Ciao Enzo

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4. . . . Mi fido di te . . .

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