21 Dicembre 2019

Notturno dei pastori

di Sandro Guido Carretta Daniele

(NOTTE SANTA)

Era successo qualcosa.
Un suono strano, insolito. Forse una luce improvvisa.
Qualcosa.
O forse, stava per succedere.
Il tedesco aprì un occhio.
Era, da sempre, abituato a una specie di dormiveglia, sempre all’erta, un orecchio pronto a cogliere anche il minimo rumore che fosse diverso dall’abituale sottofondo.
E questo, in molte occasioni, si era rivelato provvidenziale.
Si guardò intorno.
Era una notte limpida e fredda. Migliaia di stelle.
Si alzò, si stiracchiò, si grattò la schiena. Si guardò ancora intorno. Annusò l’aria.
Il capo era sempre lì, immobile, addormentato vicino al fuoco. Le pecore dormivano strette, una accanto all’altra.
Nessun rumore. Solo il secco crepitìo del fuoco che si stava piano piano spegnendo.
Eppure era successo qualcosa. Glielo diceva l’istinto, e il suo istinto non sbagliava mai.
Mosse alcuni passi per sgranchirsi le gambe poi, guardò il cielo. Sentiva una specie di richiamo che veniva da lassù, qualcosa che non riusciva a spiegare, ma che lo attirava.
Qualcosa di strano
– ‘O Fritz! Icché tu ‘ffai costì?
Eccolo. Era arrivato l’italiano, anzi il maremmano, come diceva lui.
Che poi, che differenza ci fosse tra italiano e maremmano, questo il tedesco non lo sapeva proprio.
Ma nemmeno gliene importava.
– Te tu ‘un ti riesce di dormire?
– Non senti, idiota? C’è qualcosa di strano nell’aria! E’ successo qualcosa!…E te l’ho detto mille volte di non chiamarmi Fritz,vuoi che ti stacco un orecchio? Mi chiamo Wolf!
Il maremmano annusò l’aria, fece due passi intorno, poi si riavvicinò.
– Te tu a’ ragione, Fritz. Te tu a’ proprio ragione, c’è qualcosa di strano!
– Lo so che ho ragione, idiota! Non serve che me lo dici tu!
Il maremmano si strinse nelle spalle, poi guardò il tedesco con aria interrogativa.
.- Icché si fa ora? Si va a vedere in giro?
Il tedesco tacque per qualche minuto. Aveva bisogno di riflettere.
– Vai a chiamare quell’altro italiano – disse infine.
– Chi, Bergamo? Non è italiano.
– Non è italiano?
– No, lui dice che si chiama Berghem e che non è italiano.
– Italiano, francese o arabo che sia, vai a chiamare quell’idiota che starà ancora dormendo!
Il maremmano partì al galoppo urlando: “Bergamo, Bergamoooo!” mentre Wolf scuoteva il capo sconsolato. Già la vita del pastore era dura: fatica, notti all’addiaccio, mangiare poco e male, Ma come faceva a sopportare per giunta una simile compagnia di idioti? Nessuno che lo ascoltasse, tutti che andavano di testa propria, niente ordine, niente disciplina.
Un vero e proprio casino.
Fece alcuni passi, sempre con l’orecchio drizzato, attento al più piccolo rumore e si avvicinò al giaciglio di Leon, il belga.
Dormiva.
Lo scosse, una, due volte.
– Che c’è, che vuoi?
– Ascolta! Non senti qualcosa di strano?
Leon balzò in piedi di scatto. Poi rimase immobile, scrutando nel buio.
– Hai ragione… cos’è?
– Non lo so. E’ successo qualcosa, sicuro.
– Andiamo a vedere!
– Un momento, aspettiamo gli altri.
– Gli altri chi?
– Gli italiani. Il maremmano e quell’altro, il cespuglio che cammina.
Leon sorrise.
– Mon Dieu, quello è proprio strano, strano davvero. Non capisco una parola di quello che dice.
Il tedesco sogghignò.
– Eccoli che arrivano!
I due stavano arrivando, con passo veloce. Parlavano fitto fitto tra loro.
– Mòviti, mòviti! Te tu à la leppa al culo?
– Ma và a laurà, brut terun! Capiss nagott! Ma parla come te màjet! (Traduz: Ma apprestati a qualche attività più produttiva, sciocco sconsiderato! Non comprendo affatto quanto affermi! Esprimiti in un modo maggiormente intellegibile!)
– Oh, nini, ma te chi te credi d’esse?
– Tas, rompibale, ‘gnorant! (Azzittisciti, essere molesto, scarsamente acculturato!)!
– A la tu’ sorella!
Con un balzo il tedesco si intromise tra loro.
– Volete star zitti, razza di idioti? State facendo un casino che vi fate sentire fino in Italia! Zitti! zitti, idioti!
Tacquero tutti. Si sentiva solo il lieve rumore del vento che soffiava. Faceva molto freddo adesso.
Fu allora che la videro.
Questione di pochi istanti.
Una luce improvvisa, intensissima. Una specie di palla di fuoco. Una freccia luminosa che attraversò il cielo da destra a sinistra, illuminando tutto, quasi fosse pieno giorno, per scomparire poi, dopo qualche attimo, dietro la collina.
Senza il minimo rumore.
Poi di nuovo buio. Buio completo.
Solo la luna e le stelle.
Wolf il tedesco fece un gran balzo indietro, digrignando i denti.
– Mon Dieu! – esclamo Leon, immobile, con gli occhi sgranati.
– Pota! (Acciderba!)!- aggiunse Bergamo, arretrando lentamente.
– Maremma maiala! Maremma maiala! – urlò il maremmano, partendo al galoppo per andare a nascondersi dietro alcune rocce.
Il campo ora era in subbuglio. Il capo si era svegliato e parlava concitato con altri pastori. Le pecore nel buio ondeggiavano e si spostavano disordinatamente, urtandosi tra loro.
Wolf mormorò a denti stretti a Leon:
– Andiamo ora, andiamo a vedere!
Approfittando della confusione i due si mossero, seguiti da Bergamo e, un po’ più discosto, dal maremmano che chiedeva delucidazioni al suo connazionale, ricevendo, per tutta risposta, solo uno stringato “Adess bisogna propi indà!” (Ora è d’uopo incamminarci!)
Non impiegarono molto a giungere alla grotta. Un’ora di cammino, poco più. Per la strada incontrarono altri gruppi di pastori, con cani e pecore. C’erano anche due cammelli. Tutti camminavano lentamente, nella stessa direzione. Nessuno a guidarli. Solo una luce fioca che si intravvedeva lontano, alla base della collina.
Wolf riconobbe diversi volti noti. C’era quel gruppo dei pastori della Galilea e quegli altri, quelli che venivano dalla Siria. C’era Aziz, il fabbro, e anche il fornaio. E c’era quell’uomo di cui non sapeva il nome, quel medico che gli aveva curato la brutta ferita al torace che si era procurato l’anno scorso, cadendo sulle rocce.
Giunsero infine alla meta. La grotta era una piccola cavità naturale, ai piedi della collina, rinforzata con dei pali che ne sbarravano parzialmente l’accesso. I pastori la utilizzavano, a volte, come riparo per loro e per gli animali quando le notti diventavano troppo fredde per dormire all’aperto.
Troppo fredde, proprio come stanotte.
Davanti all’ingresso si era radunato un piccolo gruppo di persone.
– Che strano .- pensò il tedesco – Di solito sono sempre che parlano, parlano, parlano, anzi gridano, e fanno un gran baccano. Stasera invece se ne stano tutti zitti, zitti. Qualcuno s’è pure inginocchiato!
I quattro entrarono nella grotta, sgattaiolando silenziosi tra la gente.
All’interno c’erano poche persone.
C’era una donna. C’era un uomo.
E poi un asino e un bue.
Solo una tenue luminosità rischiarava la grotta ma non c’era nessun fuoco. La luce veniva da una mangiatoia, posta sulla parete in fondo. La donna e l’uomo la guardavano assorti.
Anche l’asino e il bue chinavano il loro capo sulla mangiatoia. Wolf poteva vedere molto bene il fumo del loro fiato nel freddo della notte.
Il tedesco e Leon avanzarono molto lentamente, intimiditi, e sporsero il muso sul bordo della mangiatoia, subito imitati da Bergamo e, poco dopo, dal maremmano.
– L’è ‘n cittino! Un bambino! – esclamò quest’ultimo, scodinzolando.
– Mon Dieu! – mormorò Leon, fissando con gli occhi spalancati quel piccolo bambino che non piangeva, come fanno tutti i bambini, da che mondo è mondo, ed emanava una luce e un calore mai visti né sentiti.
Bergamo alzò la testa e recitò tutto compreso:

Desember, che gran poesia
Ol mond l’è piè de magìa
A ‘l nass al Bambi in de cuna
l’è chè per portà amùr e furtuna
(Dicembre, che gran poesia
Il mondo è pieno di magìa
Nasce il Bambinello nel suo giaciglio
E’ giunto a noi per recare amore e fortuna)

Wolf invece non disse niente. Continuava a guardare incantato quel piccolo d’uomo. Il piccolo volse lo sguardo su di lui e gli sorrise.
E Wolf non sentì più il freddo. Non sentì più il sonno e nemmeno la stanchezza. Aveva una strana sensazione di calore e di gioia.
Una sensazione mai provata.
Si guardò intorno, eccitato, senza capire cosa stesse succedendo. Perché non sentiva più freddo?
Guardò fuori.
Aveva cominciato a nevicare.Silenziosamente.

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