2 Dicembre 2018

2. Ciao Enzo

di Sandro

Mentre Mario sta per tentare di spiegare questo suo pensiero a Carlo, sempre un po’ distratto dall’andirivieni di studentesse, arriva Gino tutto trafelato. Gino risulta sempre un po’ distante da ciò che accade attorno a lui, ma questa volta qualcosa lo ha veramente turbato. Nuovamente la signora Morte lo aveva chiamato in causa, non direttamente, ma tangenzialmente, causando però lo stesso dolore. Una persona che lui conosceva si era suicidata. L’incontro con questa persona era avvenuta diversi anni prima.
A Gino, quando diagnosticarono il brutto male alla testa di suo figlio, gli consigliarono di prendere un cane, perché un pet durante una malattia così può aiutare. Lui tra il pacchetto dei suoi clienti aveva un allevatore di cocker di nome Enzo. Lo aveva chiamato, gli aveva esposto il suo problema, e questo senza battere ciglio gli aveva regalato un cocker femmina che Gino aveva chiamato Olimpia. Olimpia fece innamorare suo figlio che nei momenti di serenità amava vederla correre nel prato. Il cocker corre come tutti gli altri cani, ma a confronto di altre razze, le orecchie fanno la differenza. Oscillano talmente in modo bizzarro, quando corre, che lo rendono simile ad un cavallo alato mitologico. Le lunghe orecchie, accompagnate da due lunghe sopracciglia fanno di Olimpia un cane speciale e unico. Ora ancor di più perché è rimasta l’unica testimone del bene ricevuto da suo figlio e prima ancora da Enzo.
Con Enzo si era creata un’amicizia, nata all’inizio per semplici consigli sull’alimentazione del cane, e poi da quella si era passati a raccontarsi anche le cose più personali ed intime.
Gino era venuto a sapere del passato burrascoso di Enzo fatto di errori e di dipendenze. Queste erano state superate con difficoltà ma in modo dignitoso facendo di lui un uomo rispettato e rispettabile. Un uomo che aveva saputo cogliere la sua seconda occasione facendone tesoro. Uno dei pochi uomini in grado di apprezzare tutto quello che gli veniva dato, forse perché per un lungo periodo aveva dovuto rinunciare alle libertà che altri avevano, essendo stato in carcere. Una persona su cui si poteva contare, quando ti dava la sua parola la manteneva. Praticamente un vero uomo.
Dopo la morte di suo figlio aveva perso un po’ i contatti con Enzo. Non volle più frequentare le cene con i soliti amici perché sorridere in compagnia non era solo difficile, ma era anche doloroso. Solo Olimpia lo faceva distrarre con le sue lunghe orecchie che spesso andavano ad inzaccherarsi di cibo durante il pranzo o la cena e si levavano in volo durante le sue lunghe corse nel prato. Ora che aveva appreso della sua morte si sentiva in colpa per non averlo più contattato, visto e sentito come ai vecchi tempi. Forse avrebbe potuto fare qualcosa, lui che la morte l’aveva già conosciuta da vicino e conosceva il vuoto che creava . Lui, sempre lui, che aveva pregato la morte di concedere ancora tempo a suo figlio, sperando che la stessa lo chiamasse ad accompagnare il suo pargolo, troppo giovane per affrontare da solo il mondo di coloro che ci hanno lasciato.
Lui che, con la cupa mietitrice e il degno compare tempo, aveva un conto aperto. Nuovamente, ora i due lestofanti si ripresentavano sotto altre spoglie, facendogli ricordare ancora una volta suo figlio.
Una ferita non ancora cicatrizzata, una piaga sempre dolente. Potendolo parzialmente descrivere, si presentava come il dolore che una persona prova dopo aver perso un arto. Il dolore neurologico dell’arto fantasma, così viene definito scientificamente quel male che si percepisce consciamente del braccio o della gamba che viene amputata e, che si perpetua dopo l’ablazione.

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1. Drogato di vita

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3. Il giorno dopo

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