3 Novembre 2018

1. Drogato di vita

di Sandro

Mi chiamo Gigi, non certo quello della cremeria, come tutti si aspetterebbero, questo abbreviativo è semplicemente il mio soprannome. Il mio vero nome è Luigi sicuramente non così tanto più lungo del mio soprannome. Gigi mi fu dato da un amico ai tempi dell’oratorio, quando durante una partita al pallone io feci un gran goal di collo pieno all’incrocio dei pali. Quello era il periodo di Gigi Riva, il bomber più in voga e io fui, dopo la mia meravigliosa impresa, per tutti e per sempre Gigi. Anche adesso, dopo tanti anni, tutti mi chiamano e mi conoscono con questo nome, l’unica diversità è che il calcio ora lo pratico solo guardandolo alla televisione. Tutte le mattine mi reco al bar della stazione con il mio giornale sotto il braccio a bere il mio caffè, non perché a casa non l’abbia già bevuto, ma perché al bar il caffè ha un altro gusto. Forse è quel retrogusto che ti accompagna poi per tutta la mattina e il suo sapore ne fa la differenza. Una sensazione al palato di cui difficilmente vorresti liberare. Acquistare il giornale e bere il caffè sono due azioni che abitualmente compio tutti i giorni, quasi fossero degli obblighi di legge, tranne, naturalmente, il sabato e la domenica. Caffè e giornale nella mia giornata sono gestualità che assomigliano a quelle azioni scaramantiche fatte da alcuni giocatori di calcio prima di entrare in campo. Assomigliano all’usanza di Pavarotti nel bere un brodino prima di un opera, assomigliano al palleggio infinito del tennista prima di una prima palla di servizio; semplicemente tutti gesti che indicano la consuetudine, l’ordinario, il vivere abitudinario che danno la giusta sicurezza e che ricordano che nulla sta cambiando, anche se il tempo scorre.
Quando arrivo al bar della stazione mi metto al mio solito angolo vicino alla finestra con le spalle al muro. Da questa posizione domino tutto, come quando andavo a scuola sopra la mia pedana. Sì, ora a scuola non ci vado più perché sono in pensione, ma dedico il mio tempo libero ad insegnare nelle carceri. Proprio dietro a quelle alte mura ci sono dei ragazzi che si sono persi e io cerco di far in modo che loro si possano ritrovare. Ho sempre creduto che l’insegnamento avesse come unico dogma far conoscere ed apprezzare la cultura alle persone e attraverso questa sconfiggere l’ignoranza. Rammento che il mettere in fuga l’ignoranza, liberare le menti, decidere liberamente, non cadere nella tentazione di giudicare o di essere giudicati ce lo dicevamo tanti anni fa alle assemblee studentesche. Assemblee sessantottine, rumorose e fumose, fatte di occupazioni, di scontri con la polizia, ma sorrette prima di tutto da nobili idee; quelle idee di libertà che hanno reso il movimento memorabile ed immortale nel tempo. A me, non più giovane, ammetto, piace ricordare sempre le fondamenta di quelle idee per sentirmi ancora giovane nella mia imbarazzante routine giornaliera.
Il giornale che leggo al bar è un quotidiano locale che per notizie riferisce sostanzialmente dei pettegolezzi. La sua lettura leggera impegna molto poco la mia concentrazione. Questo mi consente involontariamente oramai da due anni di ascoltare le chiacchiere di quattro amici che si incontrano al mio stesso bar, ai quali talvolta si unisce, tra un cappuccino ed un caffè , una corposa barista.

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2. Ciao Enzo

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