22 Febbraio 2019

4. . . . Mi fido di te . . .

di Sandro

La sofferenza, fisica, sentimentale o morale sicuramente prima o poi farà capolino nella nostra vita senza distinzione di razza o di sesso. Perché allora elogiare la morte, la sofferenza come sirena di un nostro disagio? Io penso sia una reminiscenza ancestrale di quando eravamo animali, di quando eravamo lupi, di quando dovevamo difendere i nostri cuccioli, di quando la morte era l’unica soluzione per porre fine ad una minaccia. Dentro ci è rimasto questo e questo ci rimarrà. Mentre rifletto sulla ancestralità della violenza facendo pensieri negativi, dettati più dall’esperienza anagrafica che dall’ottimismo rivolto alla speranza umana, Gino leva il capo dal suo caffè doppio e si racconta. Gino, la sera prima forse, si era sbronzato. Due grosse borse a sembianza di salvagente venivano a mala pena coperte dagli occhiali oscurati. Sbronzato o forse semplicemente non era riuscito a dormire come spesso gli accadeva, comunque le occhiaie facevano capolino senza passare inosservate. All’inizio della sua carriera racconta, molto prima che morisse suo figlio, in banca c’era stata una rapina. Lui, a quel tempo, era alla cassa e ricorda quel giorno. Ricorda l’irruzione improvvisa di tre individui incappucciati con delle pistole in pugno. Armi che nessuno dubitò non fossero vere e funzionanti. Questi si fecero aprire la cassaforte e razziarono tutto il contante disponibile, naturalmente assecondati nelle loro richieste dai dipendenti presenti. Di tutta l’azione, che si svolse in pochi secondi, ricorda però benissimo solo una cosa: gli occhi del rapinatore celati parzialmente dal passamontagna. Erano gli stessi occhi del gatto, quello, che una volta si era nascosto nel suo garage. Il gatto quando è con le spalle al muro e senza via di fuga, sgrana i gli occhi da rendere indecifrabile qualsiasi sua prossima azione. Gli occhi incrociati del rapinatore erano tali e quali a quelli del gatto. Un misto di violenza e spavalderia, di incoscienza e di paura. Un cocktail diabolico dove un bravo barman non aveva fatto prevalere un gusto sugli altri. Ma questi cocktail sono i più insidiosi perché gli effetti collaterali possono manifestarsi in ogni momento. A Gino gli erano rimasti stampati nella mente quegli occhi e mille volte si era chiesto dove un uomo potesse trovare il coraggio per compiere tali gesti. Chi avesse infuso a questi uomini la sicurezza, la scaltrezza, la freddezza e la forza per gestire le proprie emozioni senza cadere nel tranello dell’improvvisazione. Si era chiesto inoltre fino a che punto la bramosia di denaro e di ricchezza potesse spingere un uomo a rischiare così tanto. Sta di fatto però che Gino una involontaria ammirazione per i rapitori l’aveva sempre avuta. Questi uomini facendo una rapina scommettono con sé stessi tutto. Pongono sul piatto della bilancia “Il vil denaro” contro l’unica cosa che posseggono: la loro libertà. Si giocano la libertà e talvolta anche la vita per i soldi. I soldi al di sopra di tutto, di ogni morale, di ogni coscienza e della stessa vita. Se la finalità fosse diversa, i rapinatori potrebbero essere paragonati a degli eroi di guerra, a un sacrificio che va oltre la vita stessa, oltre l’amore per i propri cari, oltre l’amore per una donna, per il proprio figlio. Oggi il valore principale è dato solo dai soldi e noi siamo tornati quasi al tempo delle caverne dove la soluzione ottimale è eliminare il pericolo alla base per difendere i propri averi. Difendere a oltranza “La roba” con qualsiasi mezzo armandoci sino ai denti, promuovendo leggi che ci permettano di eliminare la minaccia senza incombenze legali e possibilmente morali. Abbiamo trasformato le nostre case in fortini con sbarre alle finestre che ci riducono il sole a spicchi come per i carcerati . Abbiamo dotato le nostre dimore di allarmi sofisticati collegati ai nostri telefonini. Abbiamo riempito i nostri giardini di cani addestrati e ci siamo fidanzati a ditte private di vigilantes. Tutto per sentirsi sicuri di essere liberi. Siamo allo stesso tempo carcerieri e carcerati, difensori ed attaccanti, paladini della libertà e promotori della vendetta legale. Siamo diventati schiavi. Abbiamo catene invisibili che ci legano come i rematori delle galee romane. Tutti a remare assieme all’unisono verso la meta del benessere economico, schiavi degli ingranaggi del sistema ma, qualora dissenzienti, regolarmente emarginati ed espulsi.

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3. Il giorno dopo

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5. Adila

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