20 Aprile 2019

9. Milano

di Sandro

Quando arrivai alla stazione di Milano avevo il cuore che mi batteva forte e una leggera sudorazione mi era comparsa sulla fronte, peccato che il calendario dicesse che eravamo in Dicembre. Chiesi informazioni per il ”Leoncavallo”. Arrivai subito. Tutti conoscevano il covo dei comunisti in rivolta. Quando entrai non dovetti chiedere a tanti per vedere Linda. Quasi immediatamente mi avvicinai ad una stanza dove c’era scritto a lato della porta “Assemblea permanente.” Quando misi dentro la testa in questo stanzone fumoso, vidi sul palco una donna magra e bionda che parlava concitatamente e gesticolando. Mi si fermò il cuore. Era lei. Erano passati quasi quattro anni, ma lei era identica come nei ricordi di Roma. Bionda, capelli sciolti sulle spalle, camicia a fiori legata al livello dell’ombelico da un nodo e un paio di jeans sopra la vita pronti ad esaltarne le forme. Questi erano pantaloni non ancora alla moda, ma simbolo di lotta. Rappresentavano la divisa dei minatori americani, ma a differenza di questi terminavano a zampa d’elefante. Una fascetta rossa attorno alla nuca completava il look eccentrico e al medesimo tempo divertente, il tutto esaltando il fisico longilineo di Linda sul palco. Io ascoltai il dibattito molto acceso tra le due anime dell’assemblea. La tematica della discussione era sulla “necessità o meno di una rivoluzione armata operaia nei confronti di un mondo imperialista e capitalista”. Alla fine della discussione l’assemblea si spaccò tra chi era pronto a combattere con le armi e chi con la forza delle idee. Linda scese dal palco dopo il suo intervento, stremata ed irosa nei confronti di chi più volte l’aveva interrotta. Lei rappresentava lo zoccolo duro. Lei era pronta ad entrare nella lotta armata. Quando lasciò il palco il nostro sguardo si incrociò. Io non avevo subito grossi cambiamenti. Avevo lasciato crescere un po’ la barba che mi dava un aspetto intellettualoide, sostituito la montatura degli occhiali che da quadrata era ora rotonda a ricordare grossolanamente John Lennon. Altro non era successo. Lei con mia somma gioia mi riconobbe immediatamente. Un sorriso rese radioso il suo viso facendo comparire all’istante quelle sue tipiche fossette a livello degli zigomi. Mi riapparve, dopo anni, quel sorriso che io non ero più riuscito a dimenticare, quel sorriso che la contraddistingueva da qualsiasi altra donna. Linda mi venne subito vicino e stringendomi una mano mi baciò sulle guance come se mi stesse aspettando. Cercando di vincere il mio momentaneo imbarazzo, ricambiai con un vigoroso abbraccio che ricordava quello tra due vecchi compagni di naia. Prendendomi sotto braccio mi disse: ”Usciamo da qui, c’è troppo fumo e troppa gente che mi ha fatto incazzare!”. Camminammo per Milano raccontandoci vicendevolmente gli anni trascorsi senza vederci. Io iscritto a lettere stavo lavorando alla tesi di laurea. Lei invece aveva abbandonato l’università per dedicarsi solamente alla lotta di classe, spostandosi di volta in volta nelle varie facoltà occupate, si era recata anche all’estero soprattutto in Francia.

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8. Linda

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10. Poi . . .

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