3 Febbraio 2019

L’anima che si perse nella nebbia IV

di Sandro

Capitolo quarto

Vivendo vicino alla nonna, i primi anni della vita di Maria li ricordo come dei flash,dei quadri di vita, degli istanti ma talmente nitidi da sembrare appena accaduti. Quei flash di vita infantile che spesso non si sa per quale alchimia riaffiorano tra i nostri ricordi quasi che la mente volesse renderli indimenticabili, quasi indelebili, forse perenni. Quelle rimembranze di giovinezza, che gli anziani negli ospizi ti narrano con una lucidità narrativa densa di particolari, tale da spiazzarti quando non ricordano cosa hanno mangiato a pranzo il giorno stesso. E’ la memoria del bambino, non saprei definirla in altro modo, che associata ai racconti di Maria cercherà di mantenere sia una coerenza temporale sia una consecutio narrativa.

Maria , mi narrò che la madre di Anna dopo aver preso atto della gravidanza della figlia, non senza conseguenze corporali per Anna, nelle lunghe notti dei nove mesi di attesa preparò il corredo per il nascituro. Un corredo fatto di scarpine, di magliette di pannolini ricavati da scampoli di stoffa, premurosamente scelta e ritagliata su misura. A quei tempi tutto veniva fatto in casa dal cibo al vestiario e le donne erano cuoche , sarte, stiliste, mamme , allevatrici e contadine. Quando nacque Maria, si narra, che venne al mondo non piangendo ma sorridendo, come unico presentimento di ottimismo nel bel mezzo della seconda guerra mondiale. Anna, abitava poco distante della suocera e trascorreva da buona moglie, con coniuge in guerra, parte del tempo con i famigliari del marito lasciando spesso Maria a casa di sua madre Giuseppina per tutti “la Beppina”. Andrò a presentare ora la Beppina. Donna tutta di un pezzo, nacque nel 1899, si sposò con Primo, nato nell’anno 1900, uomo dal fisico prestante ma, posseduto spesso da egoismi tipicamente maschili. Convogliarono a nozze in giovanissima età finita la Grande Guerra. Primo evitò di un soffio il grande conflitto dopo che lo Stato aveva già chiamato i ragazzi del ’99. Hanno tre figli tra cui Maria. Vivono in una casupola che ora potremmo accatastare tra le baracche, fatta di quattro mura con la terra come pavimento e due pecore come riscaldamento. Qui venne allevata Maria con i suoi due fratelli, con Primo non sempre presente perché all’estero e Beppina come timoniere della situazione contingente. Gli anni passano e Primo è spesso all’estero in Francia dove sono richiesti giovani operai per la manutenzione stradale. Beppina e Primo non sono analfabeti perché durante la dominazione asburgica i bambini aveva obbligo scolastico sino alla terza elementare. Quindi Beppina sapeva fare di calcolo e Primo leggeva regolarmente il giornale. La lettura del giornale per Primo era un dovere morale, era obbligatoria per ogni uomo perché potesse sentirsi libero, anche se la sola lettura giornalistica consigliata era L’Unità o l’Avanti. Primo era sicuramente nato socialista e poi si era spostato un po’ più a sinistra, abbracciando il comunismo. Il pensiero di sinistra lo accompagnerà tutta la vita senza mai rinnegarlo anche durante il periodo fascista, creandogli parecchi problemi in una terra prettamente cattolica. In questo luogo il prete, l’ostetrica e il sindaco rappresentavano: la morale, la medicina e lo stato. La Beppina, donna molto intelligente, conosceva il suo uomo, lo apprezzava per il suo pensare e lo amava come uomo libero e schietto anche se nel calderone dell’amore doveva accettare la violenze dettate dai fumi dell’alcool. Del periodo della guerra Maria ed io ricordiamo tre cose con nitidezza : l’aereo Pippo, i rospi e il pianto di una madre per la morte di suo figlio.

L’aereo nominato Pippo era, quell’oggetto che compariva in cielo prima di un bombardamento, praticamente un ricognitore americano. Noi bambini dovevamo individuarlo nel cielo grazie al rombo del suo motore e ad un suo volteggiare strano. A quel punto dovevamo dare l’allarme e qualsiasi luce veniva spenta per non attirare l’attenzione. Se si percepiva il bagliore di una candela al di fuori delle casupole dove si viveva, qualcuno andava ad oscurare il riflesso con frasche, legni, fango e letame affinché tutto fosse uniformemente oscurato. Tante volte dopo la scomparsa di Pippo si sentiva il rumore rombante dei bombardieri. Allora c’era una corsa ai rifugi, dove lo spavento più grosso per noi bimbi, non erano le bombe che potevano cadere e centrare il nostro nascondiglio, ma il gracchiare assordante dei rospi che forse cercavano rifugio con noi. Il rumore dell’aereo ricognitore, potrei ancora riconoscerlo, il gracchiare dei rospi nelle nottate estive invece, mi infastidisce, ma mai quanto aver visto la morte nelle sua essenza e brutalità in una mattina di primavera. Un altro avvenimento della guerra che mi è rimasto impresso è l’uccisione di un ragazzo di vent’anni, accusato di cospirazione partigiana. Una mattina all’alba i fascisti andarono a casa dei nostri vicini e dopo aver bussato alle porte con impeto, chiesero a Lucia dove era suo figlio Anselmo. Questa vedendo la squadraccia fascista capì subito tutto e asserì che suo figlio era a letto, visto l’ora. Questi obbligarono Lucia a farlo alzare e ancora con gli indumenti della notte lo trascinarono via. Dopo averlo accusato di cospirazione con i partigiani lo giustiziarono all’imbocco del paese, vicino ad un grosso gelso. Le urla di Lucia lacerarono l’aria della mattina, il sole che stava sorgendo colorò gli alberi primaverili di un rosso intenso finché un raggio colpì anche la faccia di Anselmo rendendomi l’espressione del suo viso sofferente indelebile nella mia mente.

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