5 Agosto 2019
La collega più giovane, e sicuramente più sensibile, non si è fatta carico dei giudizi pre-confezionati e ha letto la cartella clinica dell’uomo ricoverato. Questa, notoriamente, oltre ai dati anagrafici, riportava la religione e lo stato civile. Proprio quest’ultimo elemento, non essenziale alla diagnosi, aveva incuriosito la collega. Ad aspettare, in sala d’attesa c’era la sorella di questo omone. La collega, recatasi da lei, per fare il quadro sanitario del paziente, era venuta a conoscenza della storia dell’uomo. La sorella era una bella donna, poco più giovane di lui, composta negli atteggiamenti e nelle movenze, faceva trasparire però, una profonda preoccupazione per il fratello. La dottoressa, spiegò all’interessata che il fratello, a causa di un incidente stradale, aveva riportato un trauma toracico e una frattura al bacino e che il tasso alcolemico era notevole, forse quest’ultimo era stato la causa del tutto. La donna, non trattenne le lacrime e scoppiò in un sonoro pianto. Raccontò nella disperazione, poi, che suo fratello Giovanni, questo il nome dell’uomo, era rimasto vedovo da circa un anno e a causa della morte prematura della moglie, la solitudine improvvisa, la mancanza di figli, la separazione non contemplata, gli avevano devastato l’equilibrio. L’uomo di fronte a questo grande dolore infatti, aveva dedicato il suo tempo non solo al lavoro, ma anche al bere e al fumare. Una autodistruzione che si stava manifestando con la trasformazione del suo corpo e della sua anima sino alle estreme conseguenze di questo incidente terribile. Mario continuò: ”Ho pensato tutta la notte all’accaduto, ritenendomi stupido e superficiale. Che diritto ho di giudicare gli altri senza essere in possesso di tutti gli elementi?”
Non è tutto giustificabile, ma nemmeno tutto giudicabile. In questo mondo, in cui le tempistiche si rincorrono, talvolta dovremmo fermarci, obbligarci a fare dei pit stop. La collega più giovane mi ha dato una lezione. Io pensavo, grazie alla mia età anagrafica, di poter dar consigli e giudizi. invece, purtroppo, sono scivolato su una comune buccia di banana, confezionando per il povero Giovanni una superficiale, ma soprattutto banale mia opinione. Eppure una volta non ero così. Ricordo infatti, tempo addietro, che con un collega mi arrabbiai molto. Aveva avuto l’ardire di esprimere un giudizio stupido e superficiale sulla lunghezza dei capelli di una collega. Ricordo che disse: “Ma in somma la Mariantonia ha più di cinquant’anni, potrebbe anche accorciarsi quei capelli che gli arrivano a metà schiena, non è più una ragazzina!!!” Quella volta fui io che mi stizzii e lo ripresi. Gli raccontai che quella donna in giovane età aveva avuto un linfoma e che i capelli li aveva persi completamente. Negli anni settanta la chemioterapia era agli albori sia nelle terapie, sia nei protocolli e negli effetti collaterali dei farmaci. Naturalmente non era contemplato nessun ausilio psicologico per i pazienti. Lei soffrì molto della sua calvizie, sebbene transitoria, perché giovane e piena di progetti. Quando con i primi cicli di chemio, si accorse che perdeva i capelli a ciuffi, di sua sponte, se li tagliò con le forbici in modo da completare velocemente ciò che la chimica aveva dato inizio. Furono tempi duri per lei, in cui anche chiedere come stavano i compagni di chemio poteva essere deleterio. Tante volte sapere che i malati come lei non ce l’avevano fatta le toglieva la speranza, le creava insicurezza per il futuro, i sogni le si oscuravano e l’unica via d’uscita sembrava essere la preghiera, se credente, oppure piegarsi alla volontà del destino. Fortunatamente ce la fece e la lunghezza dei suoi capelli rappressentò la vittoria contro la malattia e, la speranza riacquistata nella vita. Chi non conosceva questa storia non aveva il dovere di giudicare… spesso le apparenze ingannano.