2 Dicembre 2018
Sono nato nel 1965, erano gli anni del boom economico e le prospettive di vita, le speranze, gli auspici e l’ottimismo erano così elevati che nacquero anche tanti bambini. Un elevato numero, da richiedere poi negli anni settanta classi doppie per le scuole elementari.
Sono figlio di emigranti partiti per la Svizzera con un contratto di lavoro, una raccomandazione del prete del paese, tante speranze e poche illusioni e, con una sola certezza, dover lavorare duro.
Non sono figlio del 68 perché in quegli anni c’era chi “occupava” e chi si occupava della propria rinascita e, di quella del proprio paese.
Un Paese che prima aveva venduto i propri cittadini alle miniere del Belgio nel post bellico e poi i figli di questi alla Svizzera, assetata di manodopera.
Sono il figlio di un revanscismo sociale dove l’ideale di tanti era cambiare il mondo e di altri di poter cambiare la vita ai propri figli; forse, se osserviamo bene, un lato della stessa medaglia.
La realizzazione sociale, a quei tempi, aveva come obiettivo un lavoro sicuro in Patria, una casa possibilmente in autonomia superando così la promiscuità patriarcale rurale.
“I ragazzi della via Gluck“ sono stati tanti e, tanti come me sono nati all’estero, me ne sono spesso reso conto nel momento in cui trascrivevo il codice fiscale di alcuni clienti. Z133 indica nel lessico del codice fiscale che si è nati in Svizzera, da genitori che probabilmente sono stati emigranti.
Un codice che demarca con una lettera e tre numeri chi tu sia e da dove tu venga e, ricorda ancora, che ad un certo punto della vita hai fatto ritorno in Patria. Rammenta inoltre, quanto sia stato forte il richiamo alle origini per i propri genitori e che l’emigrazione per loro sia stata solo una tappa della vita, un prestito economico fatto all’estero, la cui cambiale è stata onorata dal duro lavoro. Io sono figlio di questa gente dove l’obiettivo di vita, la ricerca della felicità, era legata al migliorare la propria posizione per vivere meglio. Per fare questo non c’erano strade alternative, stratagemmi, raccomandazioni, furbizie varie, ma solo la consapevolezza che ad attenderli c’era solo un duro lavoro. A sei anni ho fatto il mio ingresso alle scuole elementari, poi sono seguite le medie, sempre frequentate nel mio paese, dove sono riuscito ad emergere grazie allo sport, esattamente ad un campionato non proprio formato da squadre da Champions.
La scelta del liceo scientifico è stata fatta da mia madre, come un dovere sociale. La classe operaia che decide che il proprio figlio farà quello che di solito è consentito solo alle classi agiate. Il liceo scientifico era anche sinonimo di proseguire il proprio percorso di studi all’università. Il vero salto nella scala sociale, la vera dote, la moneta più autentica che ti poteva lasciare un genitore. Ti obbligava a investire nella cultura, unica possibilità di combattere ad armi pari con chiunque, senza cadere nei tranelli cui l’ignoranza spesso conduce.
Fare il geometra, il ragioniere, un istituto tecnico voleva dire non avere una preparazione adeguata per poi poter affrontare l’università con le armi giuste. Voleva dire soprattutto aprirsi al mondo del lavoro dove, forse, diventare un Governatore, ma non poter certo ambire alla carica di Re. Le lunghe battaglie del sessantotto che si prefiggevano il cambiamento del mondo, ci hanno condotto a delle aberrazioni comparabili alla Rivoluzione Francese; da una parte si assisteva agli scontri in piazza dei più facinorosi e dall’altra di coloro che vivevano la vera rivoluzione nel salto della staccionata.
L’obiettivo da raggiungere quindi era creare un mondo dove la nuova generazione non avesse “padroni”, questo il sogno, il distillato di intenti, l’essenza di pensiero personalizzato di due operai di un paesino perso nel triveneto. Un sogno, semplicemente un sogno, perché per come la vedo io al giorno d’oggi, tutti noi pur pensando di essere liberi siamo schiavi di un sistema che noi stessi abbiamo creato ed alimentiamo. Ogni tanto, queste digressioni mi prendono la mano, ma servono a far capire il prosieguo della mia vita a colui che legge, a mettere in evidenza determinate scelte da me fatte, e a far emergere alcune considerazioni sui miei racconti. Il liceo diventa una grossa battaglia, fatto da due pesanti sconfitte con conseguenti battute d’arresto che segneranno in modo indelebile le scelte successive del mio modus vivendi. Grazie alle sconfitte scolastiche però, ho potuto conoscere i miei limiti e mi sono temprato nel carattere dando al dolore scolastico una valenza di esperienza di vita. D’altronde l’esperienza che cos’è se non la somma di tutti i nostri errori, mentre il libro della vita, la risultante degli errori fatti e di quelli evitati.
Al liceo ho avuto la fortuna o la sfortuna di cadere in disgrazia e farmi nemico un professore. Tale esperienza mi ha permesso di conoscere la viscidità umana unita al potere didattico di allora, non le situazioni scolastiche descritte attualmente dai giornali o dai telegiornali. Ai miei tempi invece, se un professore ti riteneva non idoneo alla sua materia o ti rimandava o, ti proponeva per una bocciatura, l’autorità da lui rappresentata non veniva messa in discussione e i genitori accettavano quanto sentenziato dalla scuola. Ho terminato il liceo in una scuola privata e nello stesso istituto mi sono diplomato. I professori qui mi ritenevano normale e addirittura superiore alla media, ma anche in questo ambiente, il campionato era fatto da squadre scadenti, svogliati figli di papà che ottenevano un titolo culturale grazie al soldo elargito dai genitori. Tuttavia l’incontro con il professore perfido, la scuola pubblica e una privata, mi hanno aiutato a capire tante cose e a valutare quelle che sarebbero state le mie scelte future. Ho appreso innanzitutto che nessun professore incontrato all’università era cosi ostile, io il peggio lo avevo già conosciuto. Non sempre l’istituzione scolastica pubblica era ben organizzata, pagando invece si poteva contare sulla gestione di programmi ben organizzati e rispettosi dei tempi scolastici. L’obiettivo finale della scuola ho scoperto infine che è legato alla promozione dello studente perché tramite questa l’istituto ottiene il meritato rendiconto pubblicitario. Tutto ciò mi ha sorpreso poiché oggi è il normale obiettivo che hanno tutti gli istituti, dalle scuole medie alle superiori, passando infine per le università. Maggiore è il numero di promossi o laureati maggiore sarà l’affluenza di studenti e ancor più diverranno le sovvenzioni da ottenere.
Giunto in terza liceo avevo deciso di fare il veterinario, sì io che avevo posseduto un cane solo per un breve tempo, ero convinto di un fatto: “Gli animali erano meglio degli umani”. Avevo sottovalutato invece un fatto importante, gli animali quando giungono in ambulatorio sono scortati da degli umani. Terminato il liceo ho iniziato il mio iter universitario a Bologna, vi sono andato non perché era uno degli atenei più blasonati oltre che più antico d’Europa, ma perché c’era un mio amico di liceo, amico con il quale poi ho condiviso un alloggio fuori sede.