2 Marzo 2019
I cinque anni trascorsi, in trasferta in quel del Santo, mi temprarono inoltre, la fortuna di poter seguire casi clinici dall’inizio alla fine con i vari riscontri medici, aumentarono le mie conoscenze. Grazie alla fiducia guadagnata nel tempo e al fatto che la mia collega si occupava prevalentemente di odontostomatologia i casi di dermatologia e di internistica furono affidati a me. La cosa non mi dispiacque, tanto da appassionarmi a tutto ciò che non comprendeva l’atto chirurgico.
La mia collega aveva dodici anni più di me e aveva capito tante cose che solo ora io rivaluto, in quanto giunto alla sua età.
Aveva capito che il cliente andava seguito, ma anche lasciato andare quando questo ti richiedeva anche l’anima. Aveva capito che il sabato non si lavorava e per nessuna ragione la domenica. Aveva capito che la vita è una sola e come qualcuno sussurra è un treno di sola andata e, quando si ferma è obbligo scendere. Tutto questo le aveva permesso di mantenere delle distanze fra ciò che il cliente pretendeva e ciò che tu come medico potevi offrire. Aveva capito che qualora si fosse diventati schiavi del lavoro per il bene del paziente o del cliente nulla e nessuno te lo avrebbe mai riconosciuto. Aveva capito che il pacchetto clienti di un veterinario è più volatile delle azioni in borsa. Cara Mariantonia solo ora io capisco le tue ragioni, troppo tardi per riconoscertelo perché ci hai voluto abbandonare alcuni anni fa. La collega aveva compreso in anticipo come andava il mondo, forse perché il suo treno anni indietro si era fermato e la stava facendo scendere. Solo la sua forza di volontà e la sua caparbietà aveva fatto sì che la sua locomotiva ripartisse nuovamente e negli anni aveva scelto di trascorrere i suoi week–end guardando fuori dal finestrino del suo treno, quasi sapendo che il tragitto per lei non sarebbe poi stato così lungo. Io allora non avevo compreso, pervaso dal fatto che volevo apprendere, volevo e soprattutto puntavo a cambiare ciò che non mi soddisfaceva.
Ero convinto che un nuovo ambiente prima si dovesse studiare e poi rinnovarlo secondo i criteri appresi ai corsi e in base alle innovazioni che si presentavano. Lo capisco solo ora che non è giusto sconvolgere quella che è la propria routine, il proprio mondo creato di certezze e di priorità.
Ancora una volta il mio tempo era poco e non potevo concedermene ancora per accettare una situazione a me troppo statica. Il primo scontro con Mariantonia lo ebbi sulla gestione anestesiologica dei pazienti.
Lei legata ai farmaci iniettabili intramuscolari, io affascinato dai farmaci innovativi come il propofol, ma da gestire con le pompe ad infusione e con un adeguato monitoraggio. La mia collega non volle cedere alle sue certezze e assecondare le mie richieste innovative che richiedevano comunque anche un investimento economico. Io allora, cominciai una mia strada, innovativa, fatta di investimenti personali. Ricordo che possedevo una macchina che avevo acquistato con i miei soldi per millecinquecento euro e che non aveva un angolo della carrozzeria senza una botta, a compenso di ciò in ambulatorio possedevo un rifrattometro che costava la metà della mia utilitaria, acquisto fatto immediatamente dopo esser stato ad un meeting sulle urine.
Ogni corso a cui partecipavo era mia cura scrivere tra gli appunti gli strumenti che potevo comprarmi a basso costo, quelli che mi sarebbero stati utili per sostenere operazioni ambulatoriali facili. Fu così che tra i vari clienti dell’ambulatorio selezionai i rappresentanti di strumentari ospedalieri, infermieri e medici sensibili ad alcune mie domande. Sapevo inoltre che spesso gli ospedali facevano e fanno tutt’ora delle aste con il proprio strumentario usato. Questa pratica è legale in tanti Stati della Comunità Europea. L’asta è pubblica e se si partecipa si può acquistare dello strumentario usato e funzionante. In Italia le cose invece, sono sempre diverse. Bandire un’asta costa tempo e denaro e, lo strumentario che va in disuso viene relegato in una stanza o nella migliore delle ipotesi venduto a peso. Gli stessi vaporizzatori che costavano allora una follia venivano venduti a peso precisamente un euro a kg, il tutto come ferro-funzionanti. Talvolta capitava invece che la ditta appaltante un reparto, ad esempio di terapia intensiva, ritirava tutto l’usato per sostituirlo con il nuovo. Lo strumentario esausto seguiva canali il più delle volte poco legali, in cui rappresentanti furbi rivendevano il materiale a cliniche private o l’offrivano a dei veterinari.
Tramite un rappresentante acquistai una pompa ad infusione ed una pompa volumetrica, il tutto ovviamente usati, iniziai così ad interessarmi di monitoraggi anestesiologici.
Sondando il mondo dell’usato, ora va molto ebay, arrivai ad acquistare dei monitor che prendevano il messaggio cardiaco a loro discrezione e i valori dell’ossimetria a tratti, pensai fossero meglio di quel silenzio che vigeva costantemente in sala chirurgica alternato da qualche imprecazione, o dal semplice ausilio anestesiologico dato dal solo fonendoscopio. Avevo inoltre costruito, tramite una radio, un rilevatore di battito cardiaco esofageo. La sua funzione diveniva fondamentale per me, infatti inserendo una sonda nell’esofago dell’animale potevo auscultare il suo battito cardiaco amplificandolo tramite gli altoparlanti della radio.
Attualmente se penso a quei momenti, mi attraversano i brividi lungo la schiena, eppure erano gli albori dell’anestesia quando i veterinari stavano differenziandosi in specialità e alcuni cominciavano ad interessarsi esclusivamente solo al mondo di Morfeo.
Iniziavano a nascere i primi gruppi di studio anestesiologico in cui i medici veterinari si scambiavano dati e soprattutto nozioni senza paura. Mettevano a nudo tutta l’inesperienza anestesiologica che avevano e che solo ora si è parzialmente colmata. Al gruppo di anestesiologia ci si riuniva anche per aggiornare i dosaggi dei farmaci, visto che ogni libro riportava in base all’autore un personale uso dello stupefacente. Confrontarsi, allora come talvolta accade anche adesso, con i colleghi più anziani voleva accrescere i propri dubbi visto che ognuno dava all’uso dell’anestetico un valore basato sull’esperienza. La risultante era un valersi alchimistico ed inventato del farmaco, il più delle volte in buona fede, ma pur sempre inventato. Dopo aver frequentato il mio primo corso di anestesia, mi accorsi della carenza di strumentario per il monitoraggio in mio possesso, pensai così di acquistare il mio primo pulsossimetro. Tale innovazione la pagai allora un milione e centomila lire, una fortuna che non produceva reddito ma solo sicurezza nell’anestesia. Una cosa poco apprezzata dalla mia collega, motivata dalla mancanza di una monetizzazione immediata, a me invece dava un minimo di tranquillità. Sentire il bip-bip dello strumento durante un intervento chirurgico mi sollevava psicologicamente permettendomi di dire: “Stiamo operando un animale ancora vivo”.
Altra cosa che mi appassionava era l’ecografia. Questa sommata alla citologia permette spesso di raggiungere un quadro diagnostico immediato anche di lesioni che colpiscono gli organi interni. Fu l’ecografo, un altro strumento, che acquistai ampliando all’arredamento della mia collega. Fu una strategia vincente perché l’acquisto di un ecografo necessita anche della presenza di pazienti e alla mia collega, settimo ambulatorio di Padova in ordine di tempo, certo non mancavano. Forte di un ecografo, di un pulsossimetro, di un microscopio e di un rifrattometro mi sentivo sicuro per poter sempre giungere ad una diagnosi. Naturalmente la spregiudicatezza data dalla giovane età, l’arroganza nel pensare di aver già capito tutto, ma soprattutto l’ignoranza portano a volte a percorrere un pensiero scientifico semplificato. Come dice Marco, se tra le tue conoscenze scientifiche metti due o tre diagnosi differenziali, terapie e iter diagnostico risulteranno immediate e banali. Il susseguirsi dei corsi che hanno riguardato un po’ tutti i campi di interesse veterinario mi hanno moltiplicato i dubbi e fatto rivalutare criticamente gli iter seguiti per giungere ad una diagnosi certa.
In questo blog voglio anche raccontare quanto non sia necessario rinchiudersi immediatamente in interessi particolari della professione. Mi spiego meglio, il primo incontro scientifico a cui partecipai fu di oftalmologia, per uno che non aveva ancora iniziato la professione è come se un medico nel campo umano appena laureato andasse ad un incontro di neurochirurgia mini-invasiva. Non recepii quasi nulla e anche gli appunti sembravano scritti da uno studente di economia e commercio che aveva sbagliato aula didattica. Però una cosa mi fu subito chiara, avere una visione dell’insieme del paziente era necessaria. Questo me lo fece capire il relatore del congresso di allora che mostrò un cane mandato dall’oftalmologo per un esoftalmo, ma come malattia sottostante aveva un linfoma. La diagnosi sicuramente l’avrebbe potuto fare anche il veterinario curante. Paradossalmente se non si fosse soffermato solo all’occhio e se non si fosse fatto prendere dalla paura dell’ignoranza che spesso ci accompagna tutti noi nell’affrontare le varie branche della medicina.
Il cane probabilmente non sarebbe arrivato dall’oftalmologo, ma sarebbe stato preso in consegna da un internista e poi da un oncologo. Andare quindi a frequentare un corso di ortopedia anche se non si desidera diventare un ortopedico permette di capire le difficoltà, gli insuccessi che ci possono essere dietro a degli interventi, ma soprattutto permette il confronto con colleghi chirurghi. Conoscere le insidie che si legano ad alcuni nostri atti chirurgici ci possono aiutare a gestire paziente e cliente ed esporre in modo chiaro le eventuali problematiche successive all’intervento. Delegare completamente agli altri delle azioni o delle terapie fatte senza nessuna cognizione di causa da parte nostra, possono dar vita a delle imbarazzanti spiegazioni a proprietari non sempre all’altezza di capire.