3 Febbraio 2019

Padova e dintorni

di Sandro

Grazie ad una raccomandazione bonaria di Tommaso infatti mi presentai alla collega di Padova che cercava un ausilio per il suo lavoro. Quando mi aprì la porta, non avevo la più pallida idea di cosa sarei potuto servire in quell’ambulatorio, non avendo né capacita’ scientifiche né tanto meno manuali. Un po’ di esperienza l’avevo solamente nell’ambiente dei grossi animali, quella dei bovini, per aver frequentato delle stalle e, tra i cavalli per aver pulito i loro box. Ancora adesso mi chiedo quali fossero state le qualità intraviste dalla collega nell’assumermi e penso che queste qualità vadano ad ingrossare i vari misteri che ti accompagnano per tutta la vita.

Il giorno che cominciai era il 7 gennaio del 1997 l’ambulatorio aveva come farmaci d’ elezione una penicillina depot e il desametasone; negli anni 70 i campi base vietnamiti erano più attrezzati di noi.

In quei giorni era difficile sia parlare che tacere. Il tacere indicava insicurezza, il parlare poteva fare scivolare in inesattezze o meglio ancora in castronerie scientifiche. Cercare tra le rimembranze scolastiche era difficile, o meglio ottimistico perché il più delle volte erano inesatte. Solo allora percepii la distanza abissale tra il modo scolastico e quello lavorativo. Capii, dopo tanti rimproveri, che il nostro mondo era fatto di tatto, ma anche di risolutezza, di voce modulata, ma anche di sorrisi, di comprensione, ma soprattutto di tanta psicologia, accompagnata talvolta da piccole astuzie. Queste ultime non sono da confondere con la cattiveria fine a se stessa, ma da accostare a piccole scorciatoie che permettono di sopravvivere nel modo “dei medici salva-vita”. Fare il veterinario è vendere un prodotto scientifico e la scientificità è il fulcro del nostro lavoro.

La vendita di un atto scientifico è difficile da effettuare poiché il proprietario del pet deve riconoscere la scienza che viene applicata nel compiere l’ atto medico. Solo l’esperienza fatta da tanti errori e talvolta da insuccessi aiutano a compiere atti medici consapevoli e a eliminare azioni banali, facilmente ripetibili da chiunque. Il nocciolo di tutto forse sta proprio qui, far sì che il lavoro del veterinario non venga visto solo come una mera azione meccanica.

Il pensare ed il rielaborare i dati permetterà, il più delle volte, di ottenere dei successi che ci distingueranno dalla figura stereotipata dell’uomo in sidecar.

Nel mondo della clinica ebbi la fortuna, la mia seconda fortuna, di incontrare una collega: Cristina. Questa, mi propose, quando la turnazione di operaio del week end non cadeva di domenica mattina, di recarmi a Cremona per seguire dei corsi gratuiti. La gratuità l’avevo ottenuta grazie alla mia manovalanza messa a disposizione ai corsi. Il lavoro consisteva nel fornire le fotocopie ai partecipanti dei meeting e nell’ordinare in caricatori appositi le diapositive delle lezioni. Questo mi aprì un mondo, quello dei colleghi bravi e preparati, che avevano sempre la soluzione giusta, di coloro che sapevano leggere il caso clinico e trasformare un collega, da mero esecutore di iniezioni, a medico. Ora, mentre scrivo queste mie riflessioni, penso a quante domeniche ho passato chiuso tra le mure di palazzo “Trecchi” di Cremona per seguire i “bravi” dottori, a quanti tramonti ho perso per ascoltare fino all’ultima parola, all’ultima novità della medicina. La rincorsa alla mia preparazione in medicina veterinaria era divenuta lo “sturm und drang” della mia vita, era la passione del voler crescere. Ora avevo la consapevolezza che la medicina veterinaria stava cambiando e non mi dovevo trovare ancora una volta in ritardo e impreparato per coglierla.

Tre sono le tappe che possono raccontare l’evoluzione della veterinaria:

  1. Ai primi del Novecento il veterinario curava cavallo e cavaliere.
  2. Nei primi anni Settanta facevano la loro comparsa i primi sistemi radiografici negli studi veterinari.
  3. Nel ’97 quando io ho cominciato a lavorare, si bisbigliava di tac, ma eseguite in notturna presso cliniche private. Ora è presente un sistema tac e di risonanza ogni 50 km.

Attraverso gli incontri di medici e la loro condivisione, si è aperto un mondo fatto di conoscenze umane e scientifiche. Ricordo con piacere un collega, Davide, al gruppo di citologia, il quale sosteneva che si potesse avere un riscontro diagnostico spesso reale, a basso costo, applicando un metodo scientifico, semplicemente con un ago, una siringa, un po’ di colorante e l’ausilio di un microscopio. Rammento inoltre, il mio primo corso con Marco, il POA (approccio orientato al problema ) che ai più non vorrà dire niente, ma nel mondo medico scientifico di allora voleva dire approcciarsi ad un nuovo modo di pensare; è stato il superamento del libro di semeiotica del “Messieri-Moretti”. Una vera e propria rivoluzione copernicana dove io partecipavo con la mia presenza; una vera propria tempesta del cambiamento. Alla fine questo blog vuole documentare l’evoluzione medico scientifica che ho vissuto seguendo la scia del mondo della veterinaria in evoluzione. Il tutto quindi, non desidera diventare “Il bignami” della storia della veterinaria ma, necessita raccontare il percorso che “Noi giovani di una volta” abbiamo voluto e dovuto intraprendere. E’ fondamentale inoltre far notare che attualmente, pur avendo a disposizione una avanzata tecnologia, come l’ausilio della tac e della risonanza, non ci si può esimere dall’eseguire un esame clinico, un eventuale esame citologico e una raccolta dettagliata dell’anamnesi, il tutto per avere un quadro completo ed esaustivo di un caso clinico preso in esame. Gli anni a Padova furono scanditi da giornate passate in ambulatorio e da serate trascorse in clinica. Lì, mangiando una pizza sul tavolo visite si aspettava arrivasse un caso clinico interessante: una torsione gastrica, un gatto ostruito, una crisi epilettica, delle neoplasie sanguinanti, delle anemie anomale… si attendeva un perfetto evento per osservare lavorare quelli bravi, coloro che sapevano come e dove mettere le mani. Si percepivano solo in quegli istanti gli sbagli che precedentemente si erano fatti in ambulatorio. Solo allora, dopo un esame di coscienza obiettivo, si capiva i danni evitati o causati dove si esercitava. In riferimento a quanto espresso, rammento ancora oggi, la gestione della mia prima anemia immuno-mediata, dove tronfio del mio caso, lo raccontai a Tommaso. Lui dopo avermi ascoltato mi domandò: “Quanto pesa il cane?” Non ricordandomi esattamente il peso, balbettai un numero e dopo averlo informato del dosaggio applicato come terapia il commento fu assai incoraggiante: “Stai annegando il cane nel cortisone”. Amareggiato della figura non certo professionale fatta, passai la notte insonne aspettando che arrivasse il giorno dopo, per poter chiamare il cliente e ripesare il cane. Fortunatamente il dosaggio era giusto e questo mi rasserenò, ma la notte prima per tale mia negligenza l’avevo passata insonne.

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