5 Agosto 2019
Sono tornato al bar della stazione dopo alcuni giorni. Ho dovuto concedere al mio fisico un po’ di riposo. Talvolta sono così stanco che lo immagino come un monumento che il vento e le intemperie scalfiscono lentamente, inesorabilmente, giorno per giorno.
Tu non ti accorgi cosa ti stia accadendo, ma i segnali del cambiamento compaiono, quando i tempi di recupero si allungano e quando ci si interfaccia con persone che si rivedono dopo anni. Il tempo segna il tuo ed il loro fisico e, noi nel rivedere gli altri vediamo gli anni che passano, convincendoci nell’inganno che forse la natura, con noi, è stata più benevola. “Siamo consapevoli che stiamo invecchiando, ma lo stiamo forse facendo meglio”.
Quando arrivo mi siedo al solito posto vicino alla finestra. Sento Mario che sta parlando con Gino ed Alberto della superficialità con cui talvolta classifichiamo le persone. Quante volte e con quale disinvoltura cuciamo addosso alla gente dei vestiti senza aver fatto nessuna valutazione critica, ma semplicemente per comodità o superficialità. Il tutto, il più delle volte, è dettato dall’esigenza di non dover pensare. “Oggi”, racconta Mario, “è arrivato in rianimazione un uomo della mia età, dopo un incidente stradale”. Anni anagrafici: cinquanta abbondanti. La persona incidentata però era sformata dalla grassezza e con un tasso alcolemico molto al di sopra della norma. Lì, tutti, siamo stati pronti a criticare la deviazione morfologica subita dal suo corpo e abbiamo amplificato il tutto, con giudizi non benevoli sull’uso indiscriminato dell’alcool. Nessuno ha considerato che in Veneto pochi sono astemi. Ognuno di noi ha preferito volutamente cucire addosso a quest’uomo l’abito dell’obeso ubriacone che si è ruzzolato giù per il fosso da solo. “Chi è fonte del suo mal, pianga sé stesso!!!”. L’abito era perfettamente cucito su misura. Eppure lo sguardo di quell’uomo era strano e me lo aveva fatto notare una collega più giovane di me. Accade infatti, che con l’età, si pensi di avere capito tutto e si ritenga sia difficile che qualcosa riesca ancora a stupirci. Si pensa, che ogni cosa occupi un suo posto, ogni oggetto abbia il suo scaffale, ogni scaffale sia situato nello spazio a lui dedicato, praticamente tutto sia stato catalogato come in una biblioteca o in un supermercato. Abbiamo la supponenza di conoscere dove ogni oggetto debba essere riposto e noi non vogliamo che nessuno venga a rovinarci il nostro ordine. Un ordine conquistato con difficoltà. Per ottenere tutto ciò, si è dovuto fare delle cernite, abbandonare degli oggetti talvolta con rammarico e dispiacere, poiché non esisteva nel nostro modo di catalogare un posto per loro. Si è dovuto rinunciare a degli elementi, in quanto avrebbero destabilizzato l’ordine precostituito. Questo non basta, è stato necessario scegliere la nostra predisposizione degli elementi o subire quella degli altri. Si è dovuto immaginare un ordine perfetto rinunciando al disordine. Torniamo a noi però.